CHIODO FISSO - Radio 3 RAI

Case - Il lavoro del tempo - Manfredi Beninati 

beninatiL’artista Manfredi Beninati ci parla delle sue istallazioni nelle quali vengono ricostruiti interni di case e ambienti paradossali dove la natura complice il tempo ridisegna gli spazi. Ricordiamo la partecipazione alla biennale di Venezia del 2005, l’intervento “Il 6 di Agosto del 1975” nella galleria Pantaleone di Palermo, o quello in preparazione per i primi di maggio nello spazio di cura-magazine a Roma.

Brano musicale: By your side, Cocorosie, dall'album "La maison de mon rêve"


COLLAGES

Манфреди Бенинати (Manfredi Beninati) является итальянский художник родился в Палермо (Сицилия) в 1970 году. Наиболее известные его картины и установки, его работа также включает в себя рисунки, скульптуры и видео. Он принимал участие в многочисленных выставках высокого профиля в Европе, Азии и Северной и Южной Америки, а также в важных международных мероприятий, таких как Венецианская Биеннале (2005 и 2009) и "Ливерпуль биеннале (2008).







ESFERA CRITICA

El arte nos revela misterios, la filosofía trata luego de explicárnoslos

Entrevista de Gema Melgar con Manfredi Beninati.


En declaraciones en su reciente inauguración de Dicembre 2039 dice "Desde los comienzos de mi carrera artística he hecho cosas para mí mismo, cuadros y esculturas que no tenía la intención de mostrar en ninguna parte..." Según tengo entendido, parte de estos cuadros 'privados' conforman esta exposición, ¿que le hizo cambiar de idea y mostrarlos?

El caso de esta exposición es bastante particular y la historia bastante larga. Empieza en el 2003 cuando hice el primer dibujo (lápiz y yeso / papel / panel de madera) de tamaño "muy" grande (260x300cm) que desde el principio iba a ser parte de una serie dedicada a mi familia. Lo que pasó entonces fue que mi galerista de Roma se lo dejó a un comisario para una exposición en la Royal Academy de Londres, sin que yo supiera nada... Este dibujo (Flavio y Palermo) nunca regresó a mi estudio (se lo compró Jay Joplin) y mi proyecto se quedó mutilado. Fue por esta razón que lo dejé más o menos ahí, hasta hace un par de años. Flavio era mi hermano, que murió en el 2006, y yo quería que se volviera a juntar con su familia. Hicimos esta muestra para que esto pasara. Como ves fue algo fuera de mi control y tuve que adaptarme a las circunstancias...

Conversation with Raimundas Malasauskas - part 2

What follows is the second of three conversations on the same subject between Raimundas Malasauskas and Manfredi Beninati that took place on the 4th of february 2011while the two of them stood in front of a random painting at Manfredi's studio in Palermo for over an hour. Raimundas recorded the conversation on his mobile phone. Later on somebody transcribed the whole thing word by word. It is here presented just the way it came out of th recording without any editing being done to it.
It is perhaps more interesting from a psychoanalytic point of view than it might be from artistic one.



RAIMUNDAS: It is interesting for me to find out is how the painting starts…

MANFREDI: It started with a blank canvas

R: Do you usually keep blank canvas white or do you have tinted background?

M: Yes, most of the time background first and then start sketching the subject.

R: In the old painting they used to put different shades in the background, it wasn't just white, it was ochre, grey… Do you remember what was the background of this painting?


Conversation with Raimundas Malasauskas - part 1

What follows is the first of three conversations on the same subject between Raimundas Malasauskas and Manfredi Beninati that took place on the 4th of february 2011while the two of them stood in front of a random painting at Manfredi's studio in Palermo for over an hour. Raimundas recorded the conversation on his mobile phone. Later on somebody transcribed the whole thing word by word. It is here presented just the way it came out of th recording without any editing being done to it.
It is perhaps more interesting from a psychoanalytic point of view than it might be from artistic one.


RAIMUNDAS: So you wrote about the work that didn’t exist?

MANFREDI: Yes.

R: What did you write it for?

M. Just for myself.

R. Was it in any way different from the works that exist?
M. No, I think it was kind of separating from the kind work I was producing at that time. It was two years ago and of course they change, your style normally changes a little bit. So you go through stages: sometimes my paintings were more neat and minimal, although much more confusing than this one

the White Review

Manfredi Beninati Interviewed by Lowenna Waters.  (click here for original article)

You have described the process of working on 30 – 40 drawings at a time as ‘an organisation of the imagination’, please comment on your creative process.

To me art is about sharing your personal experiences with the rest of the world. Therefore the difference between a good (significant) artist and a bad (insignificant) one derives also (maybe even mainly, i would say) from the quantity of yourself you let into your work. Personal experiences translate into memories resulting from a period of time during which you have learnt something that allow you to discern in a more sofisticated way than before. The same applies to a work of art. You need time to develope something not necessarily pleasing to the others but strongly personal. Something that even just in one single detail shows a hidden spot of our reality through the imposition of your point of view, through trying not to let the other's expectations influence your work. I think you need to spend time with your work and develope a narrative through time, and that's why i'm constantly working on so many drawings, paintings, sculptures at once. I keep each one with me for months or even years.
*

There is a restless emotional dichotomy in your work – a tension between serenity and anxiety. Is it something to do with your interest in being as objective as possible?

Exactly... in life we experience good things and bad things. They are all necessary events in the making of ourselves, so we should treat both, goodness and badness (or serenity and anxiety) with the same amount of care and respect. Maybe one day we wake up to find out that the roles have inverted, that good is bad and vice versa. that's always possible.
*

INTERVISTA DA CURA MAGAZINE (2009)


Senza titolo, 2009, affresco su intonaco su legno, cm180x195

"Incontro con Manfredi Beninati"

S.B. Davanti alle tue opere assistiamo come spettatori a inquadrature d’interni e figure, dei primi piani spesso, sfocate, che evocano azioni interrotte, come un sogno poco prima del risveglio, di narrazioni filmiche. Cosa resta nei tuoi lavori più recenti dei tuoi esordi nel cinema?
M.B. Tutto. Io vedo e vivo la vita come una pellicola.
S.B. Vuoi dire che riesci a selezionare i momenti, rimontando il tutto secondo un preciso disegno?
M.B. No. Intendo dire che cerco sempre di immaginarmi gli sviluppi futuri (prossimi e remoti) di ogni avvenimento e di ogni mia azione. Inoltre cerco sempre di immaginare cosa è avvenuto nel lasso di tempo in cui ho perso di vista l’evoluzione di una storia. È un gioco che faccio da sempre.
S.B. Quest’anno le tue opere saranno presenti nel Padiglione Italia della Biennale di Venezia e nella sezione Italy: No More than a Point of View della prossima biennale di Praga. Che cosa hai di italiano? Che cosa le tue opere?
M.B. Beh sono italiano e sono cresciuto in Italia e tutta la mia formazione è avvenuta in questo paese ed in questa cultura. Aver vissuto tanti anni all’estero (oggi vivo tra Palermo e Los Angeles) mi fa apprezzare ed amare la storia e la cultura di questo paese. Il cinema italiano ad esempio lo considero il più ricco, il Futurismo mi pare senza dubbio il movimento da cui nasce tutta l’arte dell’ultimo secolo, ma anche l’architettura (vedi Sant’Elia), la musica (vedi Russolo), la fotografia (vedi Bragaglia) ecc. Insomma vivendo fuori da questo microcosmo provincialissimo che è (culturalmente parlando) diventato questo paese nell’ultimo secolo, ho potuto elaborare un rapporto più onesto e libero con la nostra cultura che probabilmente mi rende più italiano di chi da qui non s’é mai mosso ed ha il mito dell’estero.
S.B. I “personaggi” dei tuoi quadri sembra emergano dall’opacità della dimenticanza in frammenti, o still per tornare al linguaggio cinematografico, in atmosfere di intensa intimità, grazie ad un uso vibrante del colore, che richiama certi ritratti di Balla, come la celebre Fidanzata al Pincio (1902). Come ti poni invece nei confronti delle esperienze dell’Arte Povera, che pure si sono mosse da alcune posizioni del Futurismo?
M.B. In realtà credo di non aver nulla in comune con nessuno dei due movimenti che hai appena chiamato in causa. Il fatto che io ammiri, anzi che riconosca la paternità dei neologismi artistici del secolo scorso e di quello in corso, e la forza dirompente delle parole e delle azioni dei futuristi di cento anni fa, non vuol dire che io sia assimilabile a loro in alcun aspetto. Infatti non credo di esserlo né esteticamente né emotivamente né tantomeno ideologicamente. I miei quadri, così come le mie istallazioni e generalmente tutto il mio lavoro nasce da altre esigenze, altri interessi ed altre visioni della vita. Anche tecnicamente esiste tra il modo di procedere di Balla ed il mio un abisso. Io dipingo a strati senza mai avere un progetto o un soggetto preciso; Balla dipingeva un’idea concreta chiaramente decifrabile davanti ai suoi occhi e lo faceva riempiendo in maniera densa anche quando rappresentava la luce. Io non so mai cosa succederà in un mio quadro. Ci lavoro a sei mani col tempo e con la casualità. In più ciò che può apparire come un soggetto o addirittura “il” soggetto di un mio quadro in realtà è sempre lì per caso. C’è finito dentro senza che io me ne accorga. È un elemento come può esserlo una colatura (questa spesso apparentemente casuale) che serve a trovare equilibrio in quella idea che é il quadro stesso. Idem rispetto all’Arte Povera.
S.B. Come me, hai origini siciliane. Dopo anni trascorsi tra Roma, Londra, Buenos Aires sei tornato a vivere a Palermo. Da qualche settimana hanno inaugurato in Sicilia nuove istituzioni dedicate al contemporaneo, mi riferisco a Palazzo Riso nella tua città e alle due fondazioni, Brodbeck e Puglisi-Cosentino, a Catania, dove era già attivo da qualche mese lo spazio di sperimentazione artistica BOCS, realtà che hanno la decisa ambizione di radicarsi nel territorio. Credi che i tempi siano maturi per un confronto sul contemporaneo, non semplicemente episodico, in Sicilia?
M.B. Sì mi fa molto piacere vedere Palermo e la sua gente fare cose normali, andare a convegni sulla situazione dell’arte contemporanea piuttosto che all’inaugurazione d’una mostra al Sant’Anna, al Sant’Elia, a Palazzo Riso, ecc. È un bel gioco ed è anche un moto per attivare o riattivare certi settori anche dell’economia locale ecc, comunque io non credo nel sistema dell’arte di oggi. Anzi da qualche tempo ho come la sensazione che presto questa bolla di sapone scoppierà. Più o meno come è avvenuto recentemente nel settore della tecnologia informatica.
S.B. Però tu in questo sistema sei inserito (sei rappresentato da gallerie internazionali, etc..). Come ti prepari a questo “scoppio”? Così chiedendoti dei tuoi prossimi progetti…
M.B. Realmente credo in quello che faccio e lo faccio con profondo senso di responsabilità. Non però, nei confronti del sistema dell’arte ma della storia dell’arte e dell’evoluzione della nostra società (quella umana intendo). Non che (ovviamente) creda che ciò che faccio sia altamente importante rispetto a ciò, ma credo che ognuno di noi debba accollarsi le proprie responsabilità verso gli altri e verso il mondo e la natura. Credo che ognuno di noi contribuisca nel bene o nel male a questa evoluzione qualsiasi sia l’entità del proprio apporto. Dunque lavoro con questo spirito, cercando di non esser mai pigro né qualunquista né di lasciar che gli altri facciano i miei compiti. I miei prossimi progetti saranno, appunto i miei prossimi progetti dopo i prossimi e così via. Contribuiranno a far sì che io capisca meglio il mio mondo interiore e che magari scopra un angolino nascosto che possa contribuire al processo evolutivo di cui sopra. Come dire ogni “fegatedd’i musca è sustansa come si dice! Per chiudere… Non ho mai fatto (e mai lo farò, almeno spero) nulla per compiacere gli altri. Nulla di ciò che il “sistema” o peggio il “mercato” chiedeva o si aspettava perché non è né la fama né il riconoscimento che m’interessa, ma piuttosto la curiosità di vedere dove mi porterà la mia ricerca. Io stesso non saprei spiegarti come sia successo che io oggi sia un artista discretamente conosciuto e, in certi ambienti, tenuto in considerazione. Forse… fortuna?!
di salvatore bellavia